Negli ultimi anni l’intelligenza artificiale ha rivoluzionato interi settori e il copywriting non fa eccezione.
Oggi basta aprire una piattaforma come ChatGPT, Jasper.ai o Copy.ai per ottenere testi corretti, grammaticalmente impeccabili e pieni di keyword.
Un sogno per chi deve produrre newsletter, landing, articoli o post social? Forse. Ma se bastasse davvero l’AI, perché le aziende continuerebbero a cercare copywriter in carne e ossa?
Perché l’AI scrive bene ma… non convince
Un contenuto generato dall’AI può sembrare perfetto: pulito, ordinato, stilisticamente “giusto”. Solo che manca ciò che vende davvero: la capacità di emozionare e persuadere.
Un testo può essere formalmente impeccabile, ma se non genera fiducia, se non intercetta le paure, i desideri e il linguaggio del pubblico, resta invisibile.
L’AI imita lo stile. Ma non conosce il contesto. Non sente il sottotesto emotivo che guida una decisione d’acquisto. Perché il copywriting non è scrivere bene: è trasformare un bisogno in desiderio, un prodotto in promessa, un brand in una voce unica.
Copywriting umano: oltre le parole
Il lavoro di un copywriter non è solo mettere giù frasi. È un processo strategico che parte da domande fondamentali:
Qual è l’obiettivo del brand?
A chi stiamo parlando?
Quali emozioni guidano le scelte del pubblico?
In che modo possiamo distinguerci davvero?
E da qui inizia il lavoro:
si ascoltano le persone
si raccolgono le paure, i dubbi le aspettative
si identificano i trigger emotivi
si costruiscono testi che informano e portano all’azione
Un copywriter è un direttore d’orchestra: decide ritmo, tono, intenzione. L’AI, invece, è uno strumento potente, ma senza direzione non suona nulla.
Dove l’AI può aiutare davvero
L’AI non è un nemico. È un alleato, se usato nel modo giusto può:
accelerare la scrittura di bozze
suggerire varianti e titoli
supportare il brainstorming
velocizzare compiti ripetitivi
L’AI è un assistente instancabile. La direzione, però, deve restare umana.
Quando il copy fa la differenza
Esempio 1: una lavanderia a gettoni
AI: “La nostra lavanderia offre soluzioni di qualità per tutti i clienti.”
Copywriter: “Non vendiamo solo lavaggi. Offriamo tempo libero a chi non ne ha mai abbastanza.”
Esempio 2: un ristorante
AI: “Il nostro ristorante offre piatti genuini.”
Copywriter: “Ogni piatto nasce da una ricetta di famiglia, cucinata come se fossi seduto a casa nostra.”
La differenza è semplice: l’AI informa. Il copywriter connette.
E nel marketing la connessione vale più della correttezza formale.
Un caso concreto: la SEO
Molti imprenditori credono che basti riempire un testo di keyword per scalare Google. L’AI è bravissima a farlo. Ma la realtà è ben diversa: Google non premia i testi “pieni di keyword”, ma quelli che offrono valore, trattengono il lettore sulla pagina e generano interazioni.
Un testo scritto solo per la SEO può anche essere trovato, ma non viene letto.
Un contenuto scritto da un copywriter, invece, può avere meno keyword, ma ha più probabilità di:
trattenere il lettore
generare fiducia
portare ad un’azione
Ed è questo che Google premia davvero.
Il futuro: collaborazione, non sostituzione
La vera sfida non è più AI contro copywriter, ma AI + copywriter. Un’azienda che delega tutto all’AI rischia l’impersonalità. Un copywriter che ignora l’AI rischia di restare indietro.
La risposta? Sta nel mezzo: unire la velocità dell’AI con la sensibilità umana.
Conclusione
L’AI è un alleato, non un sostituto.
Può produrre bozze infinite, ma solo l’essere umano sa darle direzione, anima e voce autentica.
Scrivere non è riempire uno spazio di parole.
È accendere una scintilla.
E quella scintilla, finché esisteranno brand e persone, resterà umana.

Bruna Mancini
Copywriter & SEO Strategist

